L’aumento dei ranghi dello schieramento tebano ha richiesto una
maggiore lunghezza della lancia, per rendere efficaci più file rispetto alle 3
o 4 file utili della falange oplitica.
Questa modifica, apparentemente minima, impatta sull’intero armamento del milite: una lancia più lunga è anche più pesante e ciò richiede che venga impugnata con due mani; ma se la mano sinistra aiuta la destra non può impugnare lo scudo argivo, che quindi deve essere ridotto di dimensioni. Lo scudo più piccolo offre una minore difesa al fante, che dovrà ora cercare una diversa protezione.
Questa modifica, apparentemente minima, impatta sull’intero armamento del milite: una lancia più lunga è anche più pesante e ciò richiede che venga impugnata con due mani; ma se la mano sinistra aiuta la destra non può impugnare lo scudo argivo, che quindi deve essere ridotto di dimensioni. Lo scudo più piccolo offre una minore difesa al fante, che dovrà ora cercare una diversa protezione.
La
soluzione viene trovata da Filippo II di Macedonia.
Particolare del
Sarcofago di Alessandro. Originale proveniente dalla necropoli di Sidone e
attualmente conservata al Museo Archeologico di Istanbul, rappresentante la
battaglia di Issos (foto Patrickneil da wikipedia, CC-BY-SA-2.5).
La
terra su cui regna Filippo II è di antica nobiltà feudale, i cui esponenti sono
tradizionalmente cavalieri. La cavalleria (hetairoi,
i compagni) è eccellente ma numericamente ridotta. Ad essa Filippo deve
affiancare una valida forza di fanteria.
Ma gli abitanti della Macedonia, montanari e contadini, sono privi dell’ethos dei guerrieri dei
greci, non sono avvezzi alle armi quanto i cittadini delle poleis, e certamente non hanno
la possibilità di acquistare le costose panoplie oplitiche.
L’armamento del fante macedone è molto più leggero; scompare la corazza e le difese si fermano all’elmo, gli schinieri e a un piccolo scudo del diametro di 60 cm, appeso al collo per permettere al fante di impugnare con due mani la lancia.
Appesa al fianco porta una corta spada, che tuttavia non serve: la già scarsa capacità combattiva individuale degli opliti dell’Ellade, diviene pressoché inesistente tra i fanti macedoni.
La vera forza della formazione risiede nella sua compattezza, così come la difesa del singolo fante: egli non è protetto dall’armatura e dallo scudo ma dalla sua lunga sarissa e dalla selva di punte dei suoi commilitoni che tengono lontani gli avversari. I nemici devono essere tenuti a distanza, perché se penetrassero il fante sarebbe incapace di difendersi.
Filippo II fornisce ai suoi falangiti (pezhetairoi, i compagni a piedi) una sarissa, la cui lunghezza varia nel tempo dai 12 ai 16 cubiti (1 cubito è pari a 44,4 cm), oltre 5 metri. I pezeteri (pezhetairoi) delle prime cinque file impugnano le loro sarisse con entrambe le mani, in posizione orizzontale, puntate contro il nemico; quelli delle file dietro oblique e ancor dietro verticali, pronti ad abbassarle quando coloro che li precedono cadono sotto i colpi avversari.
L’armamento del fante macedone è molto più leggero; scompare la corazza e le difese si fermano all’elmo, gli schinieri e a un piccolo scudo del diametro di 60 cm, appeso al collo per permettere al fante di impugnare con due mani la lancia.
Appesa al fianco porta una corta spada, che tuttavia non serve: la già scarsa capacità combattiva individuale degli opliti dell’Ellade, diviene pressoché inesistente tra i fanti macedoni.
La vera forza della formazione risiede nella sua compattezza, così come la difesa del singolo fante: egli non è protetto dall’armatura e dallo scudo ma dalla sua lunga sarissa e dalla selva di punte dei suoi commilitoni che tengono lontani gli avversari. I nemici devono essere tenuti a distanza, perché se penetrassero il fante sarebbe incapace di difendersi.
Filippo II fornisce ai suoi falangiti (pezhetairoi, i compagni a piedi) una sarissa, la cui lunghezza varia nel tempo dai 12 ai 16 cubiti (1 cubito è pari a 44,4 cm), oltre 5 metri. I pezeteri (pezhetairoi) delle prime cinque file impugnano le loro sarisse con entrambe le mani, in posizione orizzontale, puntate contro il nemico; quelli delle file dietro oblique e ancor dietro verticali, pronti ad abbassarle quando coloro che li precedono cadono sotto i colpi avversari.
Ricostruzione
policroma del Sarcofago di Alessandro. Originale proveniente dalla necropoli di
Sidone e attualmente conservata al Museo Archeologico di Istanbul,
rappresentante la battaglia di Issos (foto Marsyas da wikipedia, CC-BY-SA-2.5).
Filippo
II ha capito la forza della manovra avvolgente ed usa la compattezza della sua
falange per renderla efficace. Mentre la falange avanza lentamente e compatta
verso il nemico, le sue cavallerie, quella pesante degli hetairoi e quella leggera
degli alleati, prima mettono in fuga la cavalleria avversaria e poi assalgono
alle spalle i nemici, spingendoli verso il muro di lance. Nella tattica
dell’incudine e del martello, la falange non è il martello, ma l’incudine, che
deve rimanere salda mentre la cavalleria-martello gli spinge il nemico contro.
I corpi a supporto
Il
nerbo dell’esercito macedone è formato dai cavalieri e dai pezeteri. Questi
sono sostenuti dalla presenza di altri corpi.
Primi
tra tutti gli ipaspisti (hypaspistai)
cioè i portatori di scudo. Questa formazione è armata come gli opliti, quindi
una corazza di lino, l’elmo, gli schinieri e lo scudo argivo. Per l’offesa,
sono dotati della spada (xiphos)
e dell’asta (dory).
Nello schieramento vengono posti tra la falange e la cavalleria e servono a proteggere i fianchi della falange stessa. Questa infatti, seppur micidiale e impenetrabile frontalmente, risulta particolarmente vulnerabile ai fianchi. Gli Ipaspisti sono molto più mobili della falange macedone e possono allargarsi e richiudersi senza inficiare la loro azione.
Nello schieramento vengono posti tra la falange e la cavalleria e servono a proteggere i fianchi della falange stessa. Questa infatti, seppur micidiale e impenetrabile frontalmente, risulta particolarmente vulnerabile ai fianchi. Gli Ipaspisti sono molto più mobili della falange macedone e possono allargarsi e richiudersi senza inficiare la loro azione.
Alessandro Magno e
Dario III durante la battaglia di Issos, mosaico, part., II secolo a.C., Museo
Archeologico Nazionale di Napoli, proveniente dalla Casa del Fauno di Pompei
(foto di Marie-Lan Nguyen).
Da
ultimo, il corpo dei peltasti. Dotato di soli giavellotti e della pelta, questo corpo risulta
particolarmente agile e veloce. Seppur leggero, nel 391 a.C. un loro
contingente ha sconfitto una mora di
opliti spartiati a Lecheo. E’ un corpo che ha assunto una sua importanza. Ormai
i piccoli regni non ingaggiano più battaglia nelle grandi pianure, dove la
superiorità della falange domina incontrastata. Nonostante si registrino ancora
le grandi battaglie campali (spesso decisive per il corso degli eventi), molti
scontri avvengono su territori montuosi, dove non è possibile far manovrare la
falange e dove gli abitanti si affidano molto alle asperità e alle
caratteristiche del terreno per fronteggiare i grandi eserciti invasori. Su
questo terreno, sono le truppe leggere che possiedono le migliori possibilità
di vittoria.
Così
composto, l’esercito macedone diviene invincibile nelle grandi battaglie
campali ed inizia a formarsi intorno ad esso una sorta di alone leggendario,
alimentato sia dalle battaglie di Filippo II come a Cheronea (338 a.C.) sia di
Alessandro contro i vasti eserciti persiani.
La battaglia di Cheronea (338 a.C.)
La
battaglia di Cheronea si svolse nel 338 a.C. tra Filippo II il macedone ed una alleanza di poleis greche, capeggiata
da Atene e Tebe. La vittoria dello schieramento macedone segnò la fine della
breve egemonia tebana e consegnò l’intera Grecia al potere di Filippo II.
Lo schieramento
Per
equilibrare lo svantaggio delle forze in campo, l’alleanza greca scelse un
terreno a loro favorevole. Essi si schierarono alle pendici del rilievo
dell’acropoli di Cheronea, a coprire il fianco sinistro, fino ad arrivare ad un
fiumiciattolo ed una palude che difendeva il loro lato destro, contro gli
attacchi della cavalleria macedone, decisamente superiore. Formarono quindi uno
sbarramento tra due ostacoli naturali. Gli ateniesi tenevano il lato sinistro,
mentre i tebani restavano sulla destra.
Lo schieramento e
le fasi della battaglia di Cheronea (338 a.C.). Illustrazione ed animazione
dell’Autore.
Di
fronte, ma non in modo parallelo, Filippo II schierò la sua falange. Sull’ala
destra, Filippo guidava la cavalleria macedone, mentre sull’ala sinistra il
giovane figlio Alessandro guidava la cavalleria tessalica (è necessario
ricordare che nessuna fonte storica primaria parla esplicitamente di
cavalleria, ma solo più genericamente di hetairoi, compagni, termine che vale anche per i
cavalieri).
La battaglia
La
battaglia inizia con una leggera ritirata di Filippo, seguita da una carica
degli opliti ateniesi. Che abbiano caricato per sfruttare il lieve vantaggio
del pendio o perché convinti che la falange macedone stesse realmente
ritirandosi, continua ad essere fonte di disaccordo. Quanto si sa è che gli
opliti ateniesi caricarono lo schieramento destro macedone, che indietreggiò
lentamente. Gli ipaspisti trattennero a fatica l’impeto ateniese, mentre tutto
lo schieramento destro macedone indietreggiò compatto.
Per tutto questo tempo, le sorti della battaglia rimasero incerte.
Per tutto questo tempo, le sorti della battaglia rimasero incerte.
Una volta iniziata la battaglia fu aspramente combattuta per
lungo tempo con molti caduti per ciascuna delle parti, sì che la lotta dava
speranza di vittoria ad entrambi.
[Diodoro Siculo, XVI, 86.2]
Sul
lato destro greco, i tebani rimasero indecisi sul da farsi, perché seguire
l’avanzata ateniese avrebbe esposto il loro fianco destro alle cariche della
cavalleria tessalica, non più protetto dalla conformazione del terreno.
Questa indecisione fece sì che si aprisse un varco nello schieramento greco, tra le falangi ateniesi e quelle tebane. E proprio in questo punto di discontinuità Alessandro si gettò con la sua cavalleria, attaccando il fianco sinistro dei tebani. In seguito allo scompiglio, la parte sinistra della falange macedone rimasta immobile durante la prima, ed incerta, fase della battaglia, avanzò fino a contattare gli opliti tebani. Alessandro completò l’aggiramento della falange tebana fino a scontrarsi con il battaglione sacro, che venne annientato.
Questa indecisione fece sì che si aprisse un varco nello schieramento greco, tra le falangi ateniesi e quelle tebane. E proprio in questo punto di discontinuità Alessandro si gettò con la sua cavalleria, attaccando il fianco sinistro dei tebani. In seguito allo scompiglio, la parte sinistra della falange macedone rimasta immobile durante la prima, ed incerta, fase della battaglia, avanzò fino a contattare gli opliti tebani. Alessandro completò l’aggiramento della falange tebana fino a scontrarsi con il battaglione sacro, che venne annientato.
Lo
sfaldamento dell’alleanza greca fu completa e anche gli ateniesi si ritirarono
lasciando il campo a Filippo II.
Bibliografia
- Gianni Brizzi, Il guerriero, l’oplita, il legionario,
Il Mulino, Bologna 2008.
- Diodoro Siculo, Biblioteca storica. Libri XVI-XX,
Sellerio Editore, Palermo 1993; trad it. di D. P. Orsi, I. Labriola, P.
Martino.
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