Il nerbo degli antichi eserciti italici era formato dai cittadini
stessi, che si armavano a proprie spese secondo le proprie possibilità; come per
tutti gli aspetti della vita sociale, il censo definiva obblighi e diritti anche
all’interno dell’esercito. In esso, ogni uomo veniva inquadrato nella formazione
che gli competeva, attraverso la possibilità che aveva di procurarsi le armi.
Presso
i Sanniti, così come presso gli Etruschi, i magistrati preposti alla formazione
dell’esercito sceglievano le persone più valenti in battaglia che a loro volta sceglievano
tra i loro conoscenti quelli che reputavano migliori, e così via, fino a raggiungere
il numero totale di circoscritti stabilito per legge.
Tuttavia,
a partire dal V-IV sec. a.C. gli uomini dell’Appennino centrale iniziarono a combattere
come mercenari al servizio delle città costiere dell’Etruria e della Magna Grecia,
come testimoniano i frequenti ritrovamenti di armi e cinturoni nelle tombe maschili.
I Mamertini, che reduci da Siracusa arrivano a Messina intorno al 283 a.C., sono mercenari campani, cioè Italici; i quali portano in Sicilia la lingua osca, come si evince da una iscrizione ora conservata al Museo di Messina, scritta con caratteri greci ma in lingua osca, dove la parola “meddices” è facilmente riconoscibile.
I Mamertini, che reduci da Siracusa arrivano a Messina intorno al 283 a.C., sono mercenari campani, cioè Italici; i quali portano in Sicilia la lingua osca, come si evince da una iscrizione ora conservata al Museo di Messina, scritta con caratteri greci ma in lingua osca, dove la parola “meddices” è facilmente riconoscibile.
Gli
armamenti degli eserciti variavano con le possibilità economiche, ma anche in base
alla conformazione del terreno. La presenza di catene montuose nelle zone interne
dell’appennino centro-meridionale, fece sì che gli eserciti fossero formati in larga
misura da fanterie leggere che utilizzavano principalmente le tecniche della guerriglia
e della guerra alpigiana. Genti che conoscevano profondamente i luoghi ove abitavano,
attaccavano gli intrusi investendoli con una pioggia di lance, frecce e sassi, per
poi ripiegare velocemente, sopperendo con l’astuzia la mancanza della forza militare.
La
combattività dei popoli italici e la quasi invincibilità sui terreni aspri ma a
loro familiari fu nota anche ai colonizzatori greci che, nonostante dominassero
le pianure costiere grazie alla compattezza della falange oplitica, mal resistettero
agli scontri sui territori dell’interno. Ma che sfruttarono anche a loro favore,
con le navi da guerra picene che scortavano le navi mercantili greche in navigazione
nel medio Adriatico, contro i pirati illiri (cfr. Stele Novilara).
I
Vestini ed i Peligni erano considerati ottimi tiratori con l’arco e con la fionda,
formata da piccole strisce di cuoio con la quale lanciavano dei proietti ellissoidali
in piombo su cui scrivevano il nome del proprio popolo oppure delle invettive contro
i nemici; anche i Marsi furono ottimi lanciatori di verretta, un’asta lunga 3 piedi
e mezzo con una punta in ferro di sezione triangolare.
Qualora
si presentasse la necessità di scontri frontali tra grandi unità, lo schieramento
prevedeva la disposizione in tre corpi di fanteria, suddivisa per il tipico ordinamento
degli antichi italici cioè la coorte, disposti in ala destra, sinistra e corpo centrale,
con le cavallerie sulle ali e gli schermagliatori a supporto.
Le
fanterie pesanti di molte popolazioni dell’Italia antica, quali i Volsci, i Sabini
ed i Sanniti, armati sul modello degli opliti greci, usavano un’armatura pettorale
formata da un disco di bronzo di circa 20 cm di diametro o da una lastra delle stesse
dimensioni. La lastra veniva tenuta leggermente sulla sinistra, a protezione del
cuore, da cui il nome Kardiophylax.
Gli
schinieri, sempre in bronzo, erano molto alti, a difesa intera delle gambe, dal
malleolo sino alla parte superiore del ginocchio. Gli Ernici, secondo Vegezio, indossavano
uno schiniere in cuoio sulla sola gamba destra, perché la sinistra era coperta dal
loro ampio scudo.
Molto
diversi tra loro gli elmi, dotati di visiere, di nasali, di paragnatidi; in cima,
venivano inserite creste, pennacchi o piume, per far apparire il fante più alto
e per dotarlo di nobile aspetto. Tra i Piceni, il modello più utilizzato era quello
a forma troncoconica con pareti convesse, a cui veniva fissata una cresta, un rivestimento
interno di materiale deperibile e dei paragnatidi; l’elmo a disco, quello del Guerriero
di Capestrano, era un elmo da parata.
Le
truppe leggere schermagliatrici degli Equi e degli Ernici si proteggevano il capo
con cortecce di sughero o con pelli di orso e di lupo.
Molto
diversificati tra loro furono anche gli scudi. Oltre al grande scudo argivo usato
dalla maggior parte delle fanterie pesanti italiche, i Lucani usavano scudi di vimini
ricoperti di cuoio; i Bruzzi impugnavano dei piccoli scudi rotondi, come raffigurato
in alcune loro monete; i Liguri degli scudi piccoli e leggeri in rame mentre molto
grandi erano quelli dei Marsi. Altri scudi avevano una forma allungata, più larghi
nella parte superiore (a protezione del viso e del petto), più stretti nella parte
inferiore (verso le gambe, spesso protette da schiniere).
Schermagliatori Equi
che indossano pelli di orso e di lupo
Così
protetti, i fanti delle prime file scagliavano il pilo, fatto da legno di frassino,
mirto o di corniolo; quello degli Etruschi, ripreso poi dai Romani, era tale che
si piegava al primo impatto, in modo da essere inservibile ai nemici. Dopo il lancio,
i fanti estraevano le spade appese al fianco sinistro per mezzo di un balteo: spade
corte e grosse, a doppio filo e munite di punta, riprese anch’esse dai romani.
Bibliografia
§ Giuseppe Micali, Storia degli antichi popoli italiani,
Tipografia all’insegna di Dante, Firenze 1832.
§ Giacomo Devoto, Gli antichi italici, Vallecchi, 1931.
§ Museo Archeologico di Spoleto,
Spoleto Il villaggio degli Umbri e la città dei
Romani, 2015.
Figurini
Hat
8040 (1/72) – 48 figure in 8 pose nella scatola. Ho escluso 4 figurini in una posa
che sono utilizzati per la fanteria Etrusca.
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