domenica 28 luglio 2019

Fanteria italica


Il nerbo degli antichi eserciti italici era formato dai cittadini stessi, che si armavano a proprie spese secondo le proprie possibilità; come per tutti gli aspetti della vita sociale, il censo definiva obblighi e diritti anche all’interno dell’esercito. In esso, ogni uomo veniva inquadrato nella formazione che gli competeva, attraverso la possibilità che aveva di procurarsi le armi. 


Presso i Sanniti, così come presso gli Etruschi, i magistrati preposti alla formazione dell’esercito sceglievano le persone più valenti in battaglia che a loro volta sceglievano tra i loro conoscenti quelli che reputavano migliori, e così via, fino a raggiungere il numero totale di circoscritti stabilito per legge.
Tuttavia, a partire dal V-IV sec. a.C. gli uomini dell’Appennino centrale iniziarono a combattere come mercenari al servizio delle città costiere dell’Etruria e della Magna Grecia, come testimoniano i frequenti ritrovamenti di armi e cinturoni nelle tombe maschili.
I Mamertini, che reduci da Siracusa arrivano a Messina intorno al 283 a.C., sono mercenari campani, cioè Italici; i quali portano in Sicilia la lingua osca, come si evince da una iscrizione ora conservata al Museo di Messina, scritta con caratteri greci ma in lingua osca, dove la parola “
meddices” è facilmente riconoscibile. 


Gli armamenti degli eserciti variavano con le possibilità economiche, ma anche in base alla conformazione del terreno. La presenza di catene montuose nelle zone interne dell’appennino centro-meridionale, fece sì che gli eserciti fossero formati in larga misura da fanterie leggere che utilizzavano principalmente le tecniche della guerriglia e della guerra alpigiana. Genti che conoscevano profondamente i luoghi ove abitavano, attaccavano gli intrusi investendoli con una pioggia di lance, frecce e sassi, per poi ripiegare velocemente, sopperendo con l’astuzia la mancanza della forza militare.
La combattività dei popoli italici e la quasi invincibilità sui terreni aspri ma a loro familiari fu nota anche ai colonizzatori greci che, nonostante dominassero le pianure costiere grazie alla compattezza della falange oplitica, mal resistettero agli scontri sui territori dell’interno. Ma che sfruttarono anche a loro favore, con le navi da guerra picene che scortavano le navi mercantili greche in navigazione nel medio Adriatico, contro i pirati illiri (cfr. Stele Novilara).
I Vestini ed i Peligni erano considerati ottimi tiratori con l’arco e con la fionda, formata da piccole strisce di cuoio con la quale lanciavano dei proietti ellissoidali in piombo su cui scrivevano il nome del proprio popolo oppure delle invettive contro i nemici; anche i Marsi furono ottimi lanciatori di verretta, un’asta lunga 3 piedi e mezzo con una punta in ferro di sezione triangolare. 


Qualora si presentasse la necessità di scontri frontali tra grandi unità, lo schieramento prevedeva la disposizione in tre corpi di fanteria, suddivisa per il tipico ordinamento degli antichi italici cioè la coorte, disposti in ala destra, sinistra e corpo centrale, con le cavallerie sulle ali e gli schermagliatori a supporto.
Le fanterie pesanti di molte popolazioni dell’Italia antica, quali i Volsci, i Sabini ed i Sanniti, armati sul modello degli opliti greci, usavano un’armatura pettorale formata da un disco di bronzo di circa 20 cm di diametro o da una lastra delle stesse dimensioni. La lastra veniva tenuta leggermente sulla sinistra, a protezione del cuore, da cui il nome Kardiophylax.
Gli schinieri, sempre in bronzo, erano molto alti, a difesa intera delle gambe, dal malleolo sino alla parte superiore del ginocchio. Gli Ernici, secondo Vegezio, indossavano uno schiniere in cuoio sulla sola gamba destra, perché la sinistra era coperta dal loro ampio scudo. 


Molto diversi tra loro gli elmi, dotati di visiere, di nasali, di paragnatidi; in cima, venivano inserite creste, pennacchi o piume, per far apparire il fante più alto e per dotarlo di nobile aspetto. Tra i Piceni, il modello più utilizzato era quello a forma troncoconica con pareti convesse, a cui veniva fissata una cresta, un rivestimento interno di materiale deperibile e dei paragnatidi; l’elmo a disco, quello del Guerriero di Capestrano, era un elmo da parata.
Le truppe leggere schermagliatrici degli Equi e degli Ernici si proteggevano il capo con cortecce di sughero o con pelli di orso e di lupo.
Molto diversificati tra loro furono anche gli scudi. Oltre al grande scudo argivo usato dalla maggior parte delle fanterie pesanti italiche, i Lucani usavano scudi di vimini ricoperti di cuoio; i Bruzzi impugnavano dei piccoli scudi rotondi, come raffigurato in alcune loro monete; i Liguri degli scudi piccoli e leggeri in rame mentre molto grandi erano quelli dei Marsi. Altri scudi avevano una forma allungata, più larghi nella parte superiore (a protezione del viso e del petto), più stretti nella parte inferiore (verso le gambe, spesso protette da schiniere).
Schermagliatori Equi che indossano pelli di orso e di lupo

Così protetti, i fanti delle prime file scagliavano il pilo, fatto da legno di frassino, mirto o di corniolo; quello degli Etruschi, ripreso poi dai Romani, era tale che si piegava al primo impatto, in modo da essere inservibile ai nemici. Dopo il lancio, i fanti estraevano le spade appese al fianco sinistro per mezzo di un balteo: spade corte e grosse, a doppio filo e munite di punta, riprese anch’esse dai romani.

Bibliografia

§  Giuseppe Micali, Storia degli antichi popoli italiani, Tipografia all’insegna di Dante, Firenze 1832.
§  Giacomo Devoto, Gli antichi italici, Vallecchi, 1931.
§  Museo Archeologico di Spoleto, Spoleto Il villaggio degli Umbri e la città dei Romani, 2015.

Figurini

Hat 8040 (1/72) – 48 figure in 8 pose nella scatola. Ho escluso 4 figurini in una posa che sono utilizzati per la fanteria Etrusca.

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