domenica 8 dicembre 2019

Il manto dei cavalli

Il mantello del cavallo si differenzia sia nel colore sia in alcune caratteristiche quali macchie e sfumature. La differente colorazione dipende da fattori genetici, dalla combinazione di geni dominanti e recessivi dei genitori e anche dal manifestarsi di malattie quali l’albinismo o dall’età.
Il risultato della combinazione è un numero molto alto di colorazioni, a cui si aggiungono fenomeni di macchie, pezzature e sfumature.
L’insieme delle combinazioni sono state classificate, nel corso della storia, per dare un nome specifico al tipo cavallo.

Dall’alto a sinistra, in senso orario: sorcino, morello, bianco, ubero, sauro, roano, isabella, falbo, baio, grigio.

Classificazione genetica
Geneticamente, i colori di base sono definiti da due geni che influenzano la produzione dei pigmenti dei peli: Agouti (A dominante, a recessivo) che controlla la produzione del pigmento nero (eumelanina) nel mantello ed Extension (E dominante, e recessivo) che regola la produzione di pigmenti rossi e neri nei follicoli.
La combinazione dei due alleli di questi due geni fornisce la colorazione di base del manto.
1.     se il cavallo ha solo l’allele recessivo dell’Extension (ee) sarà un Sauro.
2.     se il cavallo ha almeno un E, sarà:
§  Baio se possiede almeno un allele A;
§  Morello se possiede i due alleli recessivi aa.
I colori di base, quindi sono il sauro, il baio e il morello che corrispondono anche ai colori dei mantelli ancestrali, insieme al tipo leopard, presenti prima della domesticazione (M. Pruvost, R. Bellone et al., Genotypes of predomestic horses match phenotypes painted in Paleolithic works of cave art, PNAS, 15 novembre 2011, vol. 108 no. 4).
I colori ancestrali. Da sinistra verso destra: sauro, baio, morello.

Sui colori di base agiscono poi altri geni modificatori che variano il risultato finale.
Il gene Grigio (allele D dominante, d recessivo) regola l’intensità e la saturazione dei pigmenti, rendendo quindi il manto più chiaro o più scuro. E via di seguito, con il gene Champagne (Ch dominante e ch recessivo), Argento (Z, z), Crema e Perla.
Tuttavia, la classificazione genetica spesso non coincide con i fenomeni visivi, ed essendo questa classificazione molto più recente della classificazione fenomenologica, la nomenclatura dei mantelli viene definita in altri modi più semplici.
Classificazione tradizionale
La classificazione tradizionale si basa semplicemente sul numero dei colori. Tuttavia, essendo una classificazione cromatica, questa diventa soggettiva e spesso uno stesso manto più essere definito in più modi diversi in relazione al soggetto classificatore.
In generale, i manti si distinguono in:
§  mantelli semplici;
§  a due colori separati;
§  a due colori mescolati;
§  a tre colori mescolati.
A questi si aggiungono le eventuali pezzature e la balzana, la macchia bianca più o meno lunga che parte dallo zoccolo.
MANTELLI SEMPLICI
§  Morello: monocolore nero, più o meno brillante.
§  Sauro: rosso-fulvo di gradazione variabile.
§  Bianco: colorazione completa bianca su pelle rosa o bianca (secondo la classificazione genetica, la pelle ed il pelo esprimono risultanti cromatiche diverse).


Mantelli semplici monocolore:. Da sinistra: morello, sauro, bianco.

DUE COLORI SEPARATI
Pelo e crine sono monocolore, ma di colori diversi tra loro:
§  Baio: pelo marrone (in diverse tonalità, sì da farlo chiamare bruno, oscuro, castagno, ciliegio, dorato, chiaro, lavato) con crini neri ed estremità degli arti neri. Il Baio è il colore ancestrale del cavallo, ed il più diffuso.

Il mantello baio. Da sinistra, due baio chiaro, un baio ciliegio e sulla destra un baio bruno.

§  Sorcino: peli grigi (chiaro, scuro o ordinario) con sfumature scure alle estremità e crini neri.
§  Isabella: pelo giallognolo (chiaro se tende al bianco, carico se tende al giallo e dorato se ha riflessi metanici) fino ai garretti e nero al di sotto, con crini neri. Questo manto viene spesso assimilato o al Baio o al Sauro.
§  Falbo: pelo giallo camoscio con estremità e crini neri. Tipico della penisola Iberica.

Da sinistra: sorcino, isabella, falbo.

DUE COLORI MESCOLATI
Pelo e crine sono di due colori diversi tra loro:
§  Ubero: Peli bianchi e giallo-rossicci mescolati. I crini dello stesso colore oppure eventualmente di uno o dell’altro colore. Può essere chiaro o scuro a seconda di quale dei due colori predomina.
§  Grigio: Peli bianchi e neri mescolati, crini dello stesso colore. A seconda di quale dei due peli domina può essere chiaro, scuro, ferro, argentino, storno, pomellato (predomina il nero con piccole macchie tonde di pelo chiaro) o moscato (predomina il bianco con piccole chiazzature nere).


Mantello a due colori mescolati. A sinistra l’ubero e a destra un grigio.

TRE COLORI MESCOLATI
Pelo e crini sono di tre colori diversi tra loro:
§  Roano: peli bianchi e rossi, estremità scure, crini prevalentemente neri. A seconda della predominanza del bianco, del rosso o del nero può essere rispettivamente chiaro, ordinario/vinoso, o scuro/carico.

Mantello roano chiaro

§  Alberto Soldi, Cavalli. Conoscere, riconoscere e allevare tutte le razze equine più note del mondo, De Agostini 2011.
§  D.P. Sponenberg, R. Bellone, Equine Color Genetics, Wiley-Blackwell 2017.
§  Peter de Barros Damgaard, Rui Martiniano et al., The first horse herders and the impact of early Bronze Age steppe expansions into Asia, Science, Volume 360 (6396) eaar7711, 29 giugno 2018.

Figurini
I cavalli utilizzati per questo articolo sono presi da:
Zvezda 8031 (1/72) – Cavalleria numida. Utilizzati i 13 cavalli senza sella.

Colori
Tutti i colori sono acrilici, sia della Italeri (specifici da modellismo) sia i molto più economici acrilici da cartoleria o negozi Fai da Te.
Colore
Dove
Colore
Dove
Bianco – Gloss White (Italeri 4696 AP)
Cavallo
Arancio (Italeri 4682AP)
Finimenti
Bianco di Titanio
Cavallo
Rosso – Red (Italeri 4606 AP)
Finimenti
Pelle (Italeri 4603 AP)
Cavallo
Blu chiaro (Italeri 4308 AP)
Finimenti
Giallo ocra (Giotto)
Cavallo
Blu oltre mare (Acryl)
Finimenti
Arancio (Giotto)
Cavallo
Verde chiaro (Italeri 4739 AP)
Basetta
Terra di Siena naturale (Giotto)
Cavallo
Verde smeraldo (Giotto)
Basetta
Terra di Siena bruciata (Acryl)
Cavallo
Sabbia (Italeri 4860AP)
Basetta
Cuoio – Flat leather (Italeri 4674 AP)
Cavallo
Marrone chiaro (Italeri 4709 AP)
Cavallo
Marrone scuro (Italeri 4858 AP)
Cavallo
Grigio neutro
Cavallo
Grigio (Italeri 4313AP)
Cavallo
Nero (Acryl)
Cavallo

giovedì 28 novembre 2019

Hastati e Velites


Dall’età serviana fino alla riforma di Caio Mario, l’esercito romano presentò in battaglia un ordinamento che prevedeva uno schieramento su tre classi di soldati, i quali entravano in contatto con il nemico in momenti distinti.
Ognuno di questi tre ordini veniva affiancato da un ulteriore corpo di supporto, il cui compito era quello di infastidire il nemico nelle sue manovre e nel suo schieramento.


La prima fila della legione: velites ed hastati

Gli ordini in questione erano gli hastati, i principes ed i triarii, affiancati dai velites.
Il numero specifico di ogni ordine, la struttura ed il dispiegamento variarono nel tempo e nel racconto dei vari storici (Livio e Polibio), adattandosi alle esigenze contingenti della singola battaglia e alla disponibilità dello stato romano.
In generale, tuttavia, è possibile dare una indicazione di massima.
Disposti in formazione e schierati di fronte al nemico vi era prima la linea degli hastati, la prima ad entrare in contatto con il nemico. Quando questa veniva sopraffatta e necessitava di aiuto, indietreggiava e filtrava attraverso la seconda linea, quella dei principes i quali continuavano il combattimento. Solo in caso di estremo pericolo si sarebbe ripetuta l’operazione di ripiegamento per far entrare in combattimento i triarii. Prima dei combattimenti, i velites bersagliavano le schiere nemiche con i loro dardi, per infastidirlo e per fargli perdere lo schieramento, colpendo ed indietreggiano, ed evitando di accettare battaglia.

La prima linea della legione. Gli hastati preceduti dai velites.

Velites

I velites erano le truppe leggere dell’esercito romano repubblicano che accompagnavano le fanterie pesanti.
Erano reclutati tra la popolazione più giovane e la più povera, quella cioè che aveva un reddito troppo basso per permettersi di acquistare un’armatura. Da questo punto di vista, i velites erano le truppe derivate dalla fanteria di quinta classe dell’esercito serviano.
Introdotti con la riforma serviana, scomparvero sostanzialmente con la riforma mariana dell’esercito, quando lo stato iniziò a fornire a tutti i soldati romani l’equipaggiamento, rendendo di fatto nulle le differenze di censo e le capacità economiche per l’acquisto dell’equipaggiamento.
Da quel momento, il ruolo di schermagliatori venne affidato alle truppe alleate.

ARMAMENTO

Essendo truppe leggere, le armi di difesa erano praticamente assenti. Indossavano solo un elmo semplice e raramente un pettorale in cuoio. Erano dotati dello scudo rotondo denominato parma, il cui diametro era di circa 3 piedi (meno di un metro). Sopra il capo, ad aumentare la protezione della testa e delle spalle, indossavano una pelle di lupo o di orso, in modo simile ad altre truppe leggere italiche.

Velites. Due sono armati con la spada e quattro con tre giavellotti ciascuno. Sono dotati di parma e indossano solo delle pelli di orso (sulla destra) e di lupo (i tre sulla sinistra)
Erano dotati di alcuni corti giavellotti della lunghezza di due cubiti (poco più di un metro); la punta, sottile ed acuminata, era in ferro e sporgeva dalla parte di legno di circa una spanna (circa 20 cm). Inoltre, erano dotati di una corta spada.

CONSISTENZA ED INQUADRAMENTO

In ciascuna legione, il numero dei velites era pari a quello degli hastati e dei principes.
Nella legione descritta da Polibio, quella della seconda guerra punica (218-202 a.C.), il numero dei
velites era circa di 1.200 uomini.
Essi non formavano una schiera vera e propria ma venivano affiancati a ciascuna delle tre schiere principali (
hastati, principes e triarii), in numero uguale: quindi circa 400 uomini per schiera.
I velites, essendo privi di armature, formavano delle truppe leggere agili e veloci (veles, derivato da velox). Il loro compito era quello di contattare il nemico prima dell’inizio vero e proprio della battaglia, prima cioè che entrassero in contatto le fanterie pesanti.

Velites, gli schermagliatori che iniziano la battaglia infastidendo il nemico

USO TATTICO

Lo scopo era quello di disturbare il nemico con un continuo lancio di giavellotti, per scompaginarlo oppure per impedirgli di prendere correttamente la formazione e di indurlo ad attaccare prima di essersi disposto per la battaglia; viceversa, poteva dar tempo al proprio schieramento di prendere posizione.
Prima che iniziasse lo scontro, i velites si avvicinavano al nemico in ordine sparso, lo investivano con una pioggia di dardi e poi ripiegavano, evitando di essere ingaggiati nel corpo a corpo dove avrebbero avuto la peggio se ingaggiati da fanterie equipaggiate per gli scontri diretti. Se non respinti, i velites continuavano i loro lanci fino ad esaurire i dardi per poi ripiegare e ripararsi dietro le fila della fanteria pesante.
L’intero schieramento dei Velites. Due basette di fanteria leggera aperta ed in mezzo la basetta di schermagliatori, armati di solo giavellotto.
Proprio per essere un corpo di disturbo, la loro azione infliggeva scarse perdite reali al nemico, avendo però effetti nefasti sul morale degli avversari. Infine, il non essere inquadrati in schieramenti rigidi ma di essere disposti in ordine sparso gli permetteva di essere particolarmente efficaci contro formazioni nemiche non convenzionali, come i carri da guerra asiatici (si ricordi la battaglia di Magnesia del 190 a.C.) o gli elefanti (guerre pirriche ed annibaliche).

Hastati

Gli hastati formavano la prima linea della fanteria pesante.
Erano arruolati tra la popolazione meno ricca che quindi non poteva permettersi l’acquisto di una
lorica hamata e della panoplia completa.
Hastati, dotati di scutum ovale, due giavellotti, gladio, armatura pectorale, schiniere sulla sinistra, elmo piumato.

ARMAMENTO

Gli hastati erano dotati di un’armatura completa:
§  una piastra quadrata di bronzo della grandezza di un palmo (circa 20 cm), posta davanti al petto (pectorale);
§  un elmo di bronzo con tre piume sopra, rosse o nere, lunghe circa un cubito (mezzo metro), per far sembrare il legionario più alto;
§  gli schinieri;
§  uno scudo di forma ovale (scutum), lungo quattro piedi (circa 1,2 metri) e largo due piedi e mezzo (circa 75 cm);
§  una spada appesa al fianco destro; dalla seconda guerra punica era sicuramente il gladius hispaniensis;
§  due giavellotti (pilum) la cui parte in legno misurava tre cubiti (circa 1,5 metri) e la parte in ferro era della stessa lunghezza, ma sporgeva dal legno solo per metà.

CONSISTENZA ED INQUADRAMENTO

Nella legione manipolare, secondo Polibio, l’unità base era appunto il manipolo; per la prima schiera questo era formato da due centurie di 60 hastati, 40 velites, e 6 sottufficiali per un totale di 166 uomini ogni manipolo.
Le due centurie, disposte l’una dietro l’altra, erano formate da 60
hastati ciascuna disposti su file da 10 uomini con una profondità di 6 ranghi.
Infine, in una legione, erano presenti 10 manipoli di
hastati.
Hastati con le piume nere e rosse in cima all’elmo. Un pilum viene tenuto con la mano dello scudo e l’altro sta per essere scagliato.

USO TATTICO

Gli hastati formavano il primo schieramento della fanteria pesante ed erano i primi ad entrare in contatto con il nemico.
Dopo che i velites avevano lanciato i loro dardi e dopo che gli stessi si erano posti al riparo alle spalle degli hastati, questi entravano in contatto con l’avversario.
Come prima azione, arrivati ad una distanza di circa venti passi dal nemico, gli lanciavano le loro due aste (da cui il nome del corpo), poi sguainavano il gladio, serravano i ranghi ed iniziavano il corpo a corpo. Nel caso in cui il nemico li avesse sopraffatti, questi sarebbero indietreggiati, sarebbero filtrati attraverso la seconda linea dello schieramento, cioè attraverso i principes, e si sarebbero ritirati, facendo entrare nel vivo della battaglia la seconda schiera.
L’intero schieramento degli hastati con le insegne della XI e dell III.
La Legio XI Claudia fu ricostituita da Augusto (42 a.C.) a partire dall’omonima Legio XI di Gaio Giulio Cesare, ma predisposta da Gaio Mario.
La Legio III Gallica fu costituita da Gaio Giulio Cesare (48 a.C.) per la guerra civile contro Pompeo.

Bibliografia

§  Polibio, Storie Libri V-VI, Vol. 3, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli 2002; trad. it. dal greco di M. Mari.
§  Tito Livio, Storia di Roma. Libri 7-8, Garzanti 2012.
§  Tito Livio, Storia di Roma. Libri 9-10, Garzanti 2012.
§  Gianni Brizzi, Il guerriero, l’oplita, il legionario, Il Mulino 2008.

Figurini

Hat 8035 (1/72) – Roman Catapults. Utilizzati i 16 hastati ed i 16 velites, insieme a due signifer.

Imbasettamento

§  8 Hastati + 1 signifer; fanteria pesante (2 basette 80×40 da 9 figurini ciascuna).
§  6 Velites; fanteria leggera in formazione aperta (2 basette 80×40 da 6 figurini ciascuna).
§  4 Velites; schermagliatori (1 basetta 80×20 da 4 figurini).

giovedì 7 novembre 2019

Gladiatori


I giochi gladiatori hanno lontane origini, etrusche ed italiche. Non ancora spettacoli popolari, gli Etruschi vi onoravano un membro defunto della famiglia, per soddisfare con il sangue dei combattenti i Mani della persona defunta.
Altri simili combattimenti mortali sono rappresentati in alcune tombe etrusche, dove un uomo incappucciato combatte con una clava contro un cane di grossa taglia, aizzato da un uomo mascherato (
phersu).
Non solo di tradizione etrusca, placare l’anima di un defunto con il sangue umano era anche una tradizione greca, tanto che Omero racconta nell’Iliade che nei giochi funebri in onore di Patroclo vennero sacrificati dodici nobili troiani prigionieri.

Due murmillones si affrontano nell’arena. I Murmillones erano la classe più comune, dotati di elmo con tesa ripiegata sui lati, scudo ricurvo, gambale e gladio.

A partire dall’Etruria, i combattimenti si diffusero nel resto dell’Italia venendo ripresi in modo particolare nella Campania, dove rimase sempre forte la tradizione gladiatoria.
Che i giochi gladiatori abbiano una origine sacra lo rivela anche la parola che li definisce: i romani li chiamavano “munus” che significa, appunto, “dovere”.

Munera gladiatoria

Dell’origine etrusca dei munera gladiatoria è sostenitore anche lo storico greco del I sec d.C. Nicola di Damasco. I combattimenti sacri sono attestati per la prima volta a Roma nel 264 a.C., quando si svolsero dei duelli mortali rituali durante i funerali di Bruto Pera.
Con il passare del tempo, i
munera persero le loro funzioni rituali per divenire ludi, scenografici spettacoli popolari.
Un murmillo affronta un oplomacho. Gli Oplomachi (ritratti in alcuni rilievi di Pompei) erano dotati di elmo con la cresta, schinieri e lancia

Parlarne oggi è quanto mai difficile, impregnati come sono da innumerevoli luoghi comuni.
I gladiatori combattevano secondo canoni codificati; ogni gladiatore apparteneva ad un determinato gruppo sempre armato nello stesso modo; ogni gruppo combatteva di preferenza contro un’altra specifica tipologia.
Pur armati in modo diverso, si tendeva a far sì che avessero avuto, nell’arena, stesse possibilità di vittoria.
Grazie al costante allenamento fisico e tattico, alla dieta e alle condizioni fisiche in generale, i gladiatori formavano una temibile forza militare, come dimostra la rivolta di Spartaco, tanto che in caso di bisogno i gladiatori venivano inquadrati in speciali (e separati) corpi dell’esercito (Tacito).
Sulla destra, due gladiatori Retiarii, armati di rete e tridente

I giochi furono un importante momento della vita quotidiana romana, usati dai politici per accrescere la loro fama o dagli imperatori per ripararsi da disordini popolari (si ricordi di cosa necessitava la popolazione romana secondo Giovenale, panem et circenses), fino alla loro soppressione da parte dell’imperatore Costantino nel 325 d.C. nell’Impero d’Oriente e nel 438 d.C. in quello d’Occidente, probabilmente da Valentiniano III.

Venationes

Nelle giornate dedicate ai giochi, i combattimenti tra gladiatori avvenivano nel pomeriggio, mentre la mattina era riservata alle venationes, ossia le cacce, dove animali feroci o esotici venivano introdotti nell’arena per il combattimento o per essere cacciati; è attraverso questi spettacoli che i romani conobbero per la prima volta le giraffe.
Venatores, armati di ascia. Questo tipo di arma non è attestata da nessuna fonte.

Le cacce vennero istituite più tardi rispetto ai munera. Queste si fanno risalire al 186 a.C., e terminarono più tardi dei ludi, soppresse da Teodorico nel 523 d.C.
Oltre alla passione stessa per la caccia, la loro diffusione si dovette anche alla convinzione che cacciare le belve feroci avesse promosso le virtù militari, quali il coraggio e la tenacia.
Durante le venationes i combattenti scendevano nell’arena armati della sola lancia contro bestie feroci: leoni, tigri, pantere, rinoceronti, tori, orsi. Il risultato era quasi sempre una enorme carneficina di animali. Nei giochi organizzati da Giulio Cesare, vennero uccisi 400 leoni in un solo giorno; 500 nei giochi organizzati da Pompeo.
Spesso gli animali venivano fatti combattere tra di loro, in combattimenti contro natura, come i leoni contro le tigri o i rinoceronti contro i tori.

Essedarius, combattente su carro a due ruote
Le belve venivano catturate nelle provincie romane dell’Africa e dell’Asia sia da personale specializzato, i bestiarii, sia dai soldati lì stanziati, come la legione Minerva I che in Renania catturò 50 orsi in sei mesi.
Tuttavia, la cattura delle fiere era sottoposta ad una rigida regolamentazione e ad una prassi burocrazia collaudata, come ricorda lo stesso Cicerone quando era governatore della Cilicia e doveva regolare il trasferimento delle fiere.

Condanne a morte

Tra i giochi venatori della mattina ed i munera gladiatoria del pomeriggio venivano eseguite le condanne a morte. Nella mentalità dell’epoca (ma anche in quella attuale, purtroppo) la pena corrispondeva al misfatto e la pubblica esecuzione doveva servire da deterrente.
Un Thraeces affonda la sua spada ricurva (sica) nel petto dell’avversario. I Traci indossavano un elmo con una alta cresta, protezioni per le gambe e per il braccio destro, lo scudo e la spada.

Nella arena, come parte dello spettacolo, due condannati armati di spada ma privi di strumenti di difesa si affrontavano fino alla morte, mentre nella damnatio ad bestias, il condannato veniva dato in pasto alle fiere. Seneca e Marziale raccontano come le esecuzioni fossero scenografiche, con ricchezza di costumi e di requisiti.

Bibliografia

§  F. W. von Hase, M. A. S. von Hase, Gladiatori la vera storia, in Archeo, anno XXXV numero 416, ottobre 2019.
§  Federica Guidi, Morte nell’arena, Arnoldo Mondatori, Milano 2006.
§  Raymond Bloch, Gli Etruschi, Il Saggiatore Economici, 1994



Basetta con otto gladiatori, inquadrati come fanteria leggera

Figurini

Italeri 6062 (1/72) – 1 quadriga, 10 gladiatori, 3 animali feroci, una scena con un combattimento tra 2 gladiatori

Imbasettamento

Basetta 40 x 80 mm della Bandua Wargames, con 8 gladiatori, inquadrati come fanteria leggera (esercito romano del primo impero, scheda Centuria 2).

Basetta con otto gladiatori, inquadrati come fanteria leggera