La ricchezza della loro fattura, la presenza di elementi decorativi, il loro ritrovamento solo in alcuni contesti quali le tombe di personalità sicuramente influenti, fanno pensare che i carri fossero appannaggio quasi esclusivo della nobiltà.
I carri avevano ruote in legno con i raggi; i cerchioni ed i mozzi in ferro, fissati agli assali con giunture anch’esse di ferro. La piattaforma, che poteva ospitare due persone, era in legno, mentre le fiancate potevano essere sia in legno sia in vimini intrecciato.
Erano trainati da una coppia di cavalli legati col giogo all’asse centrale, dotati di morsi flessibili, finimenti e redini decorati.
Nobile su carro da guerra
Delle due persone che stavano sulla piattaforma, uno era l’auriga mentre l’altro era il nobile o il guerriero che scagliava i giavellotti contro il nemico, una volta che il carro si fosse avvicinato in corsa agli avversari.
Tito Livio racconta come durante la battaglia del Sentino (295 a.C.) la cavalleria romana stesse avendo la meglio su quella celtica fino a quando l’attacco dei carri celti riuscì a ribaltare la situazione, sbaragliando la cavalleria romana e mettendola in fuga.
“Per due volte costrinsero la cavalleria gallica a indietreggiare; la seconda si spinsero più avanti, mentre stavano già combattendo in mezzo alle schiere di fanti, e rimasero sconcertati da un tipo di battaglia mai vista prima: arrivarono nemici armati in piedi su cocchi e carri, con un grande frastuono di ruote e cavalli che terrorizzò i cavalli dei Romani non abituati a quel rumore. Così la cavalleria romana, che aveva già la vittoria in pugno, venne dispersa dal panico, con cavalli e uomini che rovinavano a terra in una fuga precipitosa” (Ab urbe condita X.28).
Tuttavia, l’effetto del carro era più psicologico che reale. Finito l’effetto sorpresa e l’impatto emotivo, il carro aveva delle caratteristiche belliche decisamente inferiori a quelle della cavalleria.
Un guerriero sul carro
Il carro poteva imprimere un forte impatto se lanciato in corsa, ma era meno versatile sia a causa delle asperità del terreno sia nelle capacità di frenata, di manovra, di scartamento laterale, di ritirata.
Di due cavalli e due uomini, come risorse impegnate dal carro, si aveva a disposizione un solo combattente rispetto a due cavalieri.
Così, dal III secolo a.C. circa, i Celti lo sostituirono lentamente con la cavalleria e per circa un secolo i due corpi convissero; venne mantenuto in Gallia Cisalpina e, almeno tra i nobili, fino al II secolo a.C. in Gallia Transalpina, utilizzandolo principalmente come mezzo di rappresentanza o come strumento con cui compiere straordinarie prodezze e con cui dimostrare la propria abilità fisica.
In Britannia
La prima spedizione romana in Gran Bretagna fu poco più di una esplorazione condotta da Giulio Cesare nel 55 a.C., presumibilmente per bloccare i rinforzi provenienti dalle tribù dell’isola a quelle del continente. Contrariamente a quanto avveniva in Gallia, in Britannia i carri erano ancora utilizzati in battaglia e l'imboscata subita da una legione, circondata dalla cavalleria e dai carri dei Britanni, fornì lo spunto a Cesare per descrivere le loro tattiche.
Un guerriero sul carro scaglia una lancia
“Nella lotta dei carri, i Britanni iniziano percorrendo tutto il campo e lanciando i giavellotti; in genere il terrore prodotto dai cavalli ed il rumore delle ruote sono sufficienti a disordinare i ranghi avversari. Poi, dopo essersi fatti strada tra le schiere della propria cavalleria, i guerrieri saltano giù dal carro e combattono a piedi. Nel frattempo, i loro auriga si ritirano a breve distanza dalla battaglia e mettono i carri in una posizione tale che i loro padroni, se costretti a ritirarsi, hanno la possibilità di rientrate agevolmente tra le proprie linee. In questo modo associano alla mobilità della cavalleria la forza di resistenza della fanteria; con l'addestramento e la pratica quotidiana acquistano una competenza tale che gli permette di governare i cavalli al galoppo anche su una ripida pendenza, di controllarli e girarli in breve tempo. Possono correre lungo il timone, salire sul giogo e rientrare nel carro con la stessa velocità del lampo” (De bello gallico, IV.33).
L'anno successivo vi fu una seconda spedizione e ancora una volta l’uso dei carri seminò il panico. I Britanni simularono un arretramento per sganciarsi dalla fanteria pesante romana troppo lenta per inseguirli e per attirare la cavalleria romana in una imboscata, dove la cavalleria britanna ed i carri si scagliarono addosso ai romani.
Nella battaglia contro Cassivellauno, Cesare racconta di circa quattromila uomini sui carri, anche se è probabile che il numero si riferisca al totale e non al numero di guerrieri, riducendo il numero dei carri alla metà.
La regina Boudicca sul carro, mostra la testa del romano che l’ha umiliata
Dopo Cesare, primo a raccontare dei carri celti fu Diodoro Siculo: “Nei loro viaggi e quando vanno in battaglia i Galli usano carri trainati da due cavalli, che portano l’auriga e il guerriero; e quando incontrano cavalleria nei combattimenti scagliano prima i loro giavellotti contro il nemico e poi scendono dai loro carri e si uniscono alla battaglia con le loro spade. Alcuni di loro disprezzano la morte a tal punto da entrare nei pericoli della battaglia senza armature protettive e con non più di una cintura intorno alla vita. Portano in guerra anche i loro uomini liberi per farsi servire da loro, scegliendoli tra i poveri, e questi inservienti fanno da auriga e da portatori di scudi” (Biblioteca Storica, libro V, 29).
Un secolo e mezzo dopo, i carri sono ancora in uso, questa volta presso i caledoniani, molto più a nord, contro Agricola, governatore della provincia. Tacito, nel 98 d.C., racconta che durante la battaglia di Monte Graupio (83 d.C.) un elevato numero di carri invase la pianura e che con le loro evoluzioni produssero un terribile rumore. Poiché già Cesare aveva notato il frastuono, sembrerebbe che le evoluzioni fossero fatte proprio per disorientare il nemico. Tacito inoltre afferma che è l’auriga il personaggio di rango più alto, mentre è il suo servo che salta dal carro e si getta nella battaglia (Vita di Agricola, XII).
Se per Tacito è il nobile che rimane sul carro, ecco che la regina Boudicca guida i Britanni alla rivolta (61 d.C.), accompagnata sul carro dalle sue due figlie oltraggiate (Tacito, Annali, XIV.35).
Carri falcati?
Alcuni anni prima, al tempo di Claudio nel 43 d.C., il primo geografo romano Pomponio Mela, scrisse dei Britanni che: “combattono non solo a cavallo e a piedi, ma anche con bighe e carri (bigis et curribus), e sono armati alla maniera dei Galli. Chiamano quei carri covinnus che sono circondati da falci intorno alle navate (falcatis axibus)” (De Chorographia, III.43).
Con questa testimonianza, innanzitutto viene tramandata una differenza tra due tipologie di carri usati dai Britanni, su cui si tornerà in seguito.
Ma soprattutto, Pomponio Mela parla di carri falcati, così come ne parlano altri scrittori a lui contemporanei (Marco Anneo Lucano, Pharsalia, I 426; Silio Italico, Punica, XVII 417), seppur poeti non testimoni diretti. Anche Sesto Giulio Frontino, però, governatore della Gran Bretagna dal 76-78 d.C., narra di come Caio Giulio Cesare riuscì a tenere sotto controllo le quadrighe falcate (falcatas quadrigas) dei Britanni piantando picchetti nel terreno (Stratagemata, II.3.18). Cesare, però, non parla mai di doversi difendersi da falcatas quadrigas. Anzi, racconta proprio che i carri erano posti in posizione arretrata rispetto ai guerrieri.
Molto più tardi, nel 551 d.C., Giordane nella sua storia dei Goti, commentò che i Britanni, guidavano “bighe e carri a due cavalli falcati [bigis curribusque falcatis] che comunemente chiamano essedae” (Getica, I.2.15). Ma ormai, neanche lui era più un testimone diretto.
Tuttavia, neanche Agricola, anche lui comandante romano che guidò le legioni contro i Britanni nella battaglia di Monte Graupio, descrisse i carri come falcati.
Non ci sono testimonianze archeologiche di carri falciati in Gran Bretagna, anche se sono stati trovati dei cerchioni di ferro senza saldatura (un'invenzione celtica) all’interno di tombe con resti di bighe. Così come nelle monete coniate dal magistrato romano Lucio Ostilio Saserna, i carri celti non hanno lame.
Quindi il carro da guerra dei Britanni quasi certamente non aveva falci. Flavio Arriano, nel II sec. d.C., distingue esplicitamente tra i carri persiani da quelli dei Britanni, che “usano carri a due cavalli, trainati da cavalli piccoli e brutti. I loro carri leggeri a due ruote sono adatti a correre su ogni tipo di terreno ed i poveri cavalli a sopportare sofferenze continue. Tra gli asiatici, i persiani molto tempo, a partire dal tempo di Ciro, fa praticavano l'uso di carri dotati di falce e cavalli corazzati” (Tattica, XIX).
I cavalli descritti da Arriano, sono probabilmente simili ai pony Exmoor, il più antichi cavalli originari della Gran Bretagna.
I cavalli descritti da Arriano, sono probabilmente simili ai pony Exmoor, il più antichi cavalli originari della Gran Bretagna.
Essedum e Covinnus
Già Pomponio Mela distinse i due diversi tipi di carri in uso presso i Britanni, probabilmente corrispondenti alle parole latine biga e currus, distinzione che riportò secoli dopo anche Giordane.
Cesare, ad esempio, usava la parola di origine celtica essedum, bighe guidate da essedarii, per indicare i carri che dovette affrontare in Britannia, mentre Tacito chiamava covinnarius l’auriga del carro.
Partendo da queste osservazioni, si può assumere la differenza tra i due mezzi così come suggerita da Albert Lionel Frederick Rivet, e concludere che una biga è un essedum e un currus è un covinnus (A Note on Scythed Chariots, 1979).
Ma il covinnus (parola di origine celtica) esisteva anche a Roma, ed era un carro da viaggio a quattro ruote, coperto, relativamente comodo, trainato da due cavalli o da muli a passo rapido.
Sembra allora verosimile che Pomponio Mela e Silio Italico abbiano voluto affermare che il covinnus dei Britanni avesse avuto le falci per licenza poetica, come un espediente per enfatizzare il fatto che il covinnus dei Britanni non era il comodo mezzo di trasporto conosciuto a Roma.
Bibliografia
· Gaio Giulio Cesare, La guerra gallica, BUR Rizzoli, 2014, trad. it F. Brindesi.
· Tito Livio, Storia di Roma dalla sua fondazione, BUR Rizzoli, 1987, trad. it. B. Ceva.
· Gabriele Esposito, I guerrieri dell’Italia antica. Gli eserciti italici dalla fondazione di Roma ad Annibale, LEG Edizioni 2018.
Figurini
Hät 8140 (1/72) Carri celti con regina – 3 carri + 2 figure da una diversa scatola di Celti (Italeri 6022).
Imbasettamento
- 1 carro con regina;
- 1 carro con nobile (della Italeri 6022 );
- 1 carro con guerriero (della Italeri 6022).
Le tre donne (le figlie di Boudicca) sono utilizzate per altre basette e diorami.