domenica 20 ottobre 2019

Dromedarii


Il dromedario è un artiodattilo (cioè un ungulato con un numero pari di dita e la cui zampa è retta dal terzo e quarto dito) alto circa due metri che vive, ora allo stato domestico, in tutta l’Africa del nord, nella Penisola arabica e in gran parte dell’Asia minore.
La sua domesticazione è avvenuta tra circa il V ed il IV millennio a.C. nella penisola arabica; le sue caratteristiche di adattabilità all’ambiente desertico, sia di sabbia sia di sassi, lo hanno reso da subito un compagno ideale per gli Arabi, i quali traggono tuttora da esso latte, carne, lana, sterco combustibile.
Non di minore importanza è stato il suo utilizzo sia come animale da soma (riesce a portare un carico di 150-200 kg) sia da monta.

Fin dal principio della sua domesticazione, i predoni arabi del Madian, una antica regione oggi compresa tra l’Arabia Saudita, il sud della Giordania, il sud di Israele ed il Sinai, appartenenti a tribù camite e semite, utilizzarono l’animale per le loro scorrerie e per compiere rapide incursioni contro i popoli vicini, fino a colpire i Babilonesi prima ed i Persiani poi.
E’ con questi ultimi che l’animale assume un ruolo importante nell’esercito. Diodoro Siculo, nella sua Biblioteca Storica (II 54, 7), nella digressione sull’Arabia fornisce delle notizie sui dromedari raccontando come in guerra ciascuno di questi animali fosse montato da due arcieri seduti di spalle l’uno rispetto all’altro, in modo che l’uno avesse potuto colpire chi si trovava di fronte e l’altro chi veniva da tergo. 


Fu Ciro il Grande che rese l’uso di questo animale particolarmente efficace negli schieramenti persiani, nonostante i molteplici svantaggi di questi rispetto ai cavalli, che di norma quindi erano preferiti ai dromedari.
§  Il dromedario è molto più riottoso alle evoluzioni che vengono eseguite dalla cavalleria durante la battaglia, con cariche, arresti, improvvisi scarti e mobilità estrema durante i corpo a corpo tra le truppe montate.
§  Il dromedario è mediamente più lento nella corsa, anche se di poco, ad esclusione dei terreni sabbiosi solo sui quali supera in velocità il cavallo.
§  Infine, l’odore dei dromedari disordina i cavalli che sono insofferenti al loro odore. Durante le guerre persiane, Erodoto racconta (Storie, Libro VII, 87) come, nella marcia delle truppe montate persiane di Serse, i dromedari fossero stati posti in fondo alla colonna proprio per evitare di innervosire i propri cavalli.



Questa insofferenza dei cavalli nei confronti dell’odore dei dromedari venne utilizzata da Ciro il Grande nella battaglia di Thymbra (547 a.C.), mandando all’attacco i suoi reparti di cammellieri per sgominare la temibile cavalleria di Creso.
Ciro, quando vide i Lidi schierati per la battaglia, ebbe paura della loro cavalleria e dietro suggerimento del Medo Arpago operò come segue: radunò tutti i cammelli al seguito del suo esercito per il trasporto di vettovagliamenti e salmerie, li sbarazzò del carico e li fece montare da soldati equipaggiati da cavalieri; al termine di tali preparativi, ordinò a questi soldati di marciare in testa all’esercito contro la cavalleria di Creso; ordinò poi alla fanteria di avanzare dietro ai cammelli e infine alle spalle dei fanti schierò l’intera sua cavalleria. […] Queste furono le sue disposizioni: i cammelli li schierò di fronte alla cavalleria nemica perché i cavalli hanno un grande terrore dei cammelli, non riescono a sopportarne la vista e neppure a sentirne l’odore. Appunto per ciò aveva escogitato questo astuto espediente, per impedire a Creso di utilizzare la cavalleria, con la quale invece il re lidio contava di coprirsi di gloria. In effetti quando avvenne lo scontro, non appena ebbero fiutato e visto i cammelli, i cavalli retrocedettero, e Creso vide andare in fumo così tutte le sue speranze.
[Erodoto, Storie, Libro I, 80]


Cinque figurini: due armati di arco, due di sciabola ed uno di mazza

Gli Arabi che militavano nelle fila del re persiano non vennero mai sottomessi e mai versarono alcun tributo a Dario; erano inclusi nell’esercito come alleati.
Erano vestiti con ampie tuniche ed erano armati con lunghi archi (circa 2 metri) a curvatura inversa che portavano sulla spalla destra (Erodoto, Storie, Libro VII, 69). Gli archi erano archi compositi e per tenderli occorreva piegarli in senso inverso alla normale curvatura del legno; ciò imprimeva alla freccia scoccata una maggiore forza di penetrazione.
L’uso dei dromedari non scomparve con la fine degli eserciti orientali e con l’arrivo dei romani; questi, anzi, li utilizzarono sul fronte mediorientale, proprio per le loro caratteristiche. Livio ci informa, attraverso la sua Storia di Roma (XXXVII 40, 12), che tra i vari tipi di ausiliari sagittarii, esistevano anche gli arcieri Arabi che montavano i dromedari (inquadrati nei reparti ausiliari di cavalleria detti appunto Dromedarii). Questi ultimi, oltre all’arco, erano dotati di una spada particolarmente lunga per poter colpire, considerando la notevole altezza della montatura, fino in basso.
Le due basette di guerrieri arabi su dromedari, una di tre figurini ed una da due


Bibliografia

§  Erodoto, Le Storie Libri I, II, Garzanti 2005; trad. it. dal greco di Fulvio Barberis.
§  Casadio Valerio, L’arciere nell’antichità greca e romana, Evoé Edizioni, Teramo 2010.
§  Affinati Riccardo, Storia militare degli animali, Soldiershop Publishing, 2016.

Figurini

Italeri 6010 (1/72) – Saracens Warriors – Cinque dromedari montati da guerrieri.

Imbasettamento

§  Basetta (80×40 mm della Bandua Wargames) di cavalleria media per esercito persiano achemenide: tre dromedari montati da un arciere e due spadaccini.
§  Basetta (80×40 mm della Bandua Wargames) di cavalleria leggera in formazione aperta per esercito arabo: due dromedari montati da un arciere ed uno spadaccino.

Due diversi imbasettamenti per due diversi eserciti

martedì 1 ottobre 2019

Carri falcati persiani

La prima testimonianza dei carri da guerra si riscontra sullo Stendardo di Ur, risalente al 2.500 a.C.
Il carro ritratto è un carro pesante, a quattro ruote, spesso utilizzato per alloggiare il maggior numero possibile di guerrieri e sfruttare l’effetto sorpresa nello schieramento avversario. In questo tipo di carri i finimenti dei cavalli erano poco idonei al traino in corsa ed i cavalli, il cui attacco al carro era al collo e non alle spalle, dovevano sopportare notevoli fatiche.
Carro persiano falcato, accompagnato dalla cavalleria

Intorno alla metà del II millennio, vennero introdotti notevoli miglioramenti tecnici, in particolare sul carro stesso, che passò da quattro a due ruote. Ugualmente, vennero introdotte le falci rotanti, prima sulle ruote, poi sul giogo ed infine, in età del ferro, sotto la pedana del carro.
I carri da guerra furono largamente utilizzati da tutti i popoli del Medio Oriente, Ittiti, Egizi (il faraone Ramses II ne possedeva ventisette mila), Assiri, Babilonesi, Persiani, e spesso divennero il fattore decisivo nelle battaglie. Fattore di successo per gli Ittiti, furono l’arma vincente degli Hyksos per la conquista dell’Egitto.
Nella battaglia di Thymbra (547 a.C.), l’intervento dei carri falcati di Ciro il Grande, posti in retroguardia, fu risolutivo per le sorti favorevoli della battaglia. Fu lui che trasformò i carri da guerra in una vera arma, dotandoli di una propria organizzazione tattica nelle fasi del combattimento.
Il carro falcato trainato da quattro cavalli morelli.

I carri da guerra passarono quindi ad altri popoli, Micenei, Celti, Etruschi, che li utilizzarono nella versione di piattaforma mobile per alloggiare arcieri, nobili e comandanti; utilizzato in guerra o per le parate.
Nelle Storie, Erodoto narra dei carri che Serse portò in Grecia, sebbene non giocarono alcun ruolo per la conformazione sfavorevole del suolo greco.
Anche Senofonte racconta dei carri impiegati nella battaglia di Cunassa (401 a.C.):
Davanti a loro erano schierati i carri cosiddetti falcati a grande distanza gli uni dagli altri: le falci partivano dagli assi, erano disposte in senso orizzontale e rivolte verso il terreno sotto i carri per stritolare quanto avesse incontrato. L’idea era quella di lanciarli contro le fila dei Greci e di farli a pezzi.
Senofonte, Anabasi, I, 8, 10
I carri falcati furono l’arma vincente delle armate Persiane.


La fine dei carri

Tuttavia, non sempre furono invitte. A Gaugamela (331 a.C.) i carri falcati lanciati da Dario contro le falangi di Alessandro vennero in parte neutralizzati da una nuova tecnica. Con l’arrivo dei carri le prime linee si sarebbero spostate lateralmente, aprendo un vuoto dove si sarebbe infilato il carro; lì dentro, i cavalli si sarebbe rifiutati di schiantarsi contro le sarisse delle seconde linee, rimanendo bloccati in una trappola dove i cocchieri sarebbero stati uccisi con facilità.

Ma la vera fine dell’utilizzo dei carri avvenne ad opera dell’esercito romano.
Nella battaglia di Magnesia (190 a.C.), i carri falcati di Antioco III vennero respinti da una fitta pioggia di dardi, sassi e lance, prima che questi potessero impattare sulle fanterie leggere dell’ala destra romana.
Ancor più, come aveva fatto Alessandro, i romani neutralizzarono completamente l’azione dei carri durante la battaglia di Cheronea (86 a.C.) contro l’esercito del Regno del Ponto guidato dal generale Archelao nell’ambito della Prima Guerra Mitridatica (89-84 a.C.).



Anche in questa battaglia, all’arrivo dei carri gli agili manipoli romani si aprirono per far passare i cavalli in corsa, che attraversarono completamente le fila romane. Giunti in fondo, i carri furono fatti bersaglio dei pila della retroguardia, mentre questi cercavano di girarsi e di prendere nuovamente velocità contro i romani.

Problemi tattici dei carri

Due erano i problemi dei carri da guerra.
1) Il primo era dato dalla rincorsa. Solo con un opportuno spazio di rincorsa i carri potevano raggiungere quella velocità che rendeva micidiale il loro impatto sulle linee nemiche. Se il campo di battaglia era troppo corto, la velocità sarebbe stata troppo bassa ed i carri sarebbero stati fermati agevolmente, come accaduto a Chronea. Racconta Plutarco che Silla:
tolse efficacia alla carica dei carri falcati, che raggiungono la loro massima forza d’urto solo dopo una lunga carica, dando loro velocità e impeto necessario alla rottura attraverso la linea avversaria. Se la carica inizia da breve distanza risultano inefficaci e deboli […]. I primi carri partirono così debolmente e lentamente, che i Romani li respinsero, per poi batter loro le mani, scoppiando a ridere […]
Plutarco, Vita di Silla, 18, 2-4)


2) Il secondo problema era rappresentato dal terreno. I carri da guerra bene funzionavano nelle ampie steppe mediorientali, ma risultavano particolarmente inadatte ai terreni sassosi della Grecia. Così, oltre a scegliere un terreno poco adatto ai carri, i Romani usarono anche degli accorgimenti che rallentavano la carica dei cavalli: iniziata la carica dei carri, i Romani lanciavano davanti a loro dei cavalli di frisia (triboli) di varie dimensioni, grandi (con i pali lunghi circa 120 cm) e più piccoli che si conficcavano nelle zampe dei cavalli.
Il Re Antioco e Mitridate utilizzarono in guerra quadrighe falcate. Queste dapprima incussero grande terrore, ma in seguito divennero oggetto di derisione. E’ infatti difficile trovare un terreno completamente pianeggiante per il carro falcato, il minimo ostacolo gli impedisce la via e viene catturato se solo uno dei due cavalli viene colpito o ferito. Ma la maggior parte di essi furono annientati da questa tecnica adottata dall’esercito Romano; non appena si ingaggiava la battaglia, i Romani lanciavano su tutto il campo i triboli, contro i quali le quadrighe in corsa scontrandosi si distruggevano. Il tribolo è una macchina da difesa formata da quattro pali, che, in qualsiasi modo si scagli, sta su tre piedi ed è pericolosa per il quarto piede che sempre sta diritto.
Vegezio, Epitoma Rei Militaris


Bibliografia

§  Senofonte, Anabasi, Garzanti 1994; trad. it dal greco di Andrea Barabino.
§  Plutarco, Vite di Lisandro e di Silla, BUR 2001, trad. it. di F. M. Muccioli e L. Ghilli.
§  Vegezio, L’arte della Guerra (Epitoma Rei Militaris) a cura di Luca Canali e Maria Pellegrini, Oscar Mondadori 2001.
§  Andrea Frediani, Le grandi battaglie di Alessandro Magno, Newton Compton, 2004.

Figurini

Zvezda 8008 (1/72) – Cavalleria persiana (V-IV sec a.C.), un carro falcato.

Imbasettamento

Basetta 8 x 8 della Bandua Wargames.
La sabbia utilizzata per la base proviene dalla Cappadocia.