lunedì 6 aprile 2020

Città e villaggi celti

Nella discussione riguardante la corretta cronologia della presenza celtica in Italia, una delle argomentazioni a favore della “cronologia breve”, quella di tradizione greca che sostiene l’inizio delle invasioni celtiche in Italia tra il V e il IV secolo a.C., è la scarsa presenza di materiali archeologici, soprattutto per quanto riguarda gli insediamenti.


Villaggio celtico con tre diverse tipologie costruttive

Tuttavia, è lo stesso Polibio che descrive i Celti come popolazioni nomadi o seminomadi, i cui unici possedimenti erano gli armenti e l’oro. Anche secondo le fonti antiche, i Celti furono sempre molto mobili, sospingendo con loro il bestiame e trasportando gli averi ed i beni sui carri. Pochi averi materiali, se non oro. A lungo, durante la loro storia, i Celti si mantennero fortemente mobili, pur non nomadi, senza tuttavia fermarsi in alcuna località particolare, senza iniziare la pratica dell’agricoltura stanziale e con essa modificare il paesaggio. Le popolazioni celtiche hanno potuto abitare a lungo su un territorio senza per questo lasciare tracce visibili. Pertanto, scarse risultano le testimonianze archeologiche più antiche.
In questo quadro, non solo risulta normalmente compatibile la cronologia liviana, che anticipa di due secoli l’arrivo dei Celti, ma anzi, a fronte delle evidenze archeologiche fornite dalla datazione delle necropoli, diviene la prova delle modalità abitative delle popolazioni celtiche.
Ne sono un esempio i Galli Senoni, ultimi arrivati in Italia tra le popolazioni celtiche, che iniziano a fondare dei centri urbani solo a partire dal IV-III secolo a.C. e non all’inizio del loro insediamento. Questo vuol dire che la fase urbanistica per questa popolazione, così come per altre, rappresenta la fase finale della sua presenza nel territorio italico e non quella iniziale.


Le scarse testimonianze archeologiche, le fonti antiche, le similitudini con altre popolazioni seminomadi e fortunati ritrovamenti, fanno comunque pensare ad una distribuzione sul territorio basata sulla permanenza di piccoli gruppi raccolti all’interno di villaggi.
Ognuno di questi era separato dagli altri pur mantenendo stretti vincoli culturali con i vicini. Vicus è il termine latino per individuarli, quando posti nelle radure dei boschi, in collina o pianura, contrapposto al castella, o fortezza d’altura, abitato circondato da un muro di difesa.
I villaggi erano dominati da élite oligarchiche a cui facevano riferimento un vario numero di clientes, ed i rapporti di forza tra gli esponenti dell’oligarchia erano determinati dal numero di clientes che ognuno aveva.

Casa celtica secondo le ricostruzioni fatte a Castell Henllys, nel Galles

I piccoli villaggi erano autonomi tra di loro, ma in alcuni casi, come presso gli Insubri, essi gravitavano nell’orbita di un centro più grande, l’oppidum. Il territorio e le vie di comunicazione terrestri e fluviali venivano quindi controllate attraverso una stella di strutture insediative al cui centro una città di più grandi dimensioni ne condizionava l’evoluzione e presidiava le strutture di un'economia ancora in via di decollo, fortemente basata sull’allevamento e sul mercenariato.
Gli Insubri del resto rappresentarono una sicura eccezione. E’ con l’arrivo in Italia di Belloveso che venne fondata Mediolanun (che in celtico significa “in mezzo alla pianura”) nel VI secolo a.C., unico caso di cui si abbia notizia storica della fondazione di una città. Situazione sicuramente anomala rispetto alle altre tribù celtiche, Mediolanun doveva essere un centro di una certa rilevanza, e non un piccolo insediamento che, secondo Strabone, dovette attendere l’intervento romano per trasformarsi da villaggio a città. Se i Romani incontrarono notevoli difficoltà per la sua conquista (222 a.C.), è perché Mediolanum avrà avuto delle strutture difensive adeguate, forse anche dotata di mura. Di sicuro al suo interno vi era costruito un tempio per il culto di una divinità molto importante, simile ad Atena, culto sentito anche al di fuori dell’ambito prettamente cittadino.


Ancora presso gli Insubri, più a nord di Mediolanum, il controllo del territorio si esplicava attraverso una relazione di dipendenza tra la Comum Oppidum ed i ventotto castella, che arrivavano fino alla costa nord del lago di Como. Alla conquista romana del centro fortificato, i castella si arresero anch’essi, il che indica il rapporto di subordinazione tra il centro ed i villaggi periferici.
Dal II secolo a.C. si radicalizzò il processo di romanizzazione dei celti pur senza un intervento diretto romano. Si diffusero oggetti, idee, modelli culturali, stili di vita del dominatore, e con essi prese piede l’urbanizzazione. I centri urbani rafforzarono la loro presenza, mentre quanti tra i celti non vollero perdere le loro abitudini, vennero allontanati e relegati ai margini del mondo che si andava costruendo.
Appartenente ad una fase precedente, risale un abitato etrusco-gallico situato a Monte Bibele, nel territorio dei Boi. Per difendersi dall'invasione celtica dei Boi, che segnò il declino dell’Etruria padana, le popolazioni etrusche lasciarono i centri urbani posti in pianura per rifugiarsi sulle alture, meglio difendibili. Fuggendo da Felsina (Bologna), da Marzabotto e da altri centri, ormai in declino sotto la spinta celtica, alcuni etruschi si rifugiarono a Monte Bibele, a sud di Bologna, dove fondarono un nuovo insediamento.


L’area fu disboscata e la forte pendenza della montagna (dal 10 al 30%) venne spezzata con la costruzione di una decina di terrazzamenti successivi, secondo un andamento nord-sud.
Verso il 350 a.C., all'interno dell'abitato si insediò della popolazione celtica e nella stessa città i guerrieri celti ed i mercanti etruschi convissero pacificamente anche grazie ad una politica matrimoniale di scambio, dove donne appartenenti a famiglie etrusche andarono in spose ai guerrieri celti. Evidenza testimoniata dai ritrovamenti nella necropoli associata all'abitato, dove nelle tombe dei guerrieri celti sono stati ritrovati oggetti femminili con incisi i loro nomi etruschi.
L’abitato fu costruito su una serie di terrazzamenti con il quale venne resa abitabile la costa del monte. Le case, a pianta rettangolare, erano raggruppate in piccoli isolati, ognuno di essi posti a quota diversa dagli altri, disposti sulle terrazze lungo le pendici.

Pioverà, meglio chiudere la porta…

Le case, che avevano delle dimensioni di circa 30-40 m2, erano costruite con materiali diversi, tutti di origine locale. Un bordo esterno in pietra assicurava l’impermeabilità delle pareti dalle acque piovane e di scorrimento superficiali, mentre la struttura in legno, di cui è rimasta traccia nel terreno, si ergeva verso l’alto a sorreggere le pareti ed il tetto.
I muri erano formati da lastre di arenaria e di terreno argilloso bagnato, mentre i pavimenti erano in terra battuta. Sotto la terra battuta poteva venir posto uno strato di ghiaia utilizzato per livellare il terreno. All’interno delle case era presente un focolare, mentre il forno, per la cottura sia di cibi sia di utensili, era posto all’esterno.
In alcuni casi era presente un piano superiore, retto da pali in legno.
A Monte Bibele il tetto delle abitazioni era presumibilmente di paglia e di altri materiali vegetali, identico a quello di molti altri abitati celti del nord Europa, come le coperture delle case circolari rinvenute a Castell Henllys nel Galles e risalenti al periodo compreso tra il 500-100 a.C. A Monte Bibele, infatti, mancano gli elementi di copertura del tetto in laterizio, tecnica utilizzata dagli Etruschi ma, in quel periodo di decadenza, ormai abbandonata.


Oltre alle abitazioni private sono state scoperte strutture di carattere pubblico: una grande cisterna circolare per la raccolta dell’acqua, presumibilmente di uso comune e dei magazzini. Questi erano formati da un muro in pietra perimetrale alto circa un metro, erano coperti da un tetto di argilla e al loro interno venivano posti i vasi fittili che contenevano i prodotti agricoli deperibili.
Nell'abitato era presente anche un sistema di strade e viottoli che collegava i vari isolati. Le strade erano lastricate con ciottoli la cui pendenza fungeva anche da sistema di scorrimento delle acque piovane verso i settori non edificati ai margini dell'abitato.
Nella parte inferiore, su una parte leggermente rialzata in roccia, era presente l’auguraculum, cioè il tempio che accolse i riti augurali di fondazione dell’abitato, limitato da un piccolo recinto in pietra con due pozzi laterali.

Casa celtica secondo la ricostruzione fatta a Monte Bibele

Il villaggio sopravvisse per quasi tre secoli, fino agli inizi del II sec. a.C., quando venne distrutto. Il periodo corrisponde alla conquista romana del territorio padano e alla guerra contro i galli Boi condotta senza quartiere contro campi (acri), villaggi (vici), abitati d’altura (castella) e fattorie (tecta) per piegare la resistenza celtica. Fu quasi certamente questa la fine dell’abitato e il vasto incendio documentato dalle sue strutture ne sarebbe la prova.

Muro gallico

Una struttura abitativa come quella di Monte Bibele sarebbe uno di quei vicus in cui viveva la popolazione celtica, che eventualmente rispondeva ad un centro di maggiori dimensioni, posto ad una certa distanza.
Nell’oppidum centrale, le case, realizzate con le stesse tecniche costruttive, erano circondate da un muro difensivo, la cui struttura venne descritta da Giulio Cesare nel suo De bello gallico (VII, 23).

Il muro celtico: si vedono i pali longitudinali che formano il muro, poi riempito dal terrapieno, secondo la ricostruzione fatta a Bibracte

Il muro gallico era composto da una intelaiatura di pali di legno posti ortogonalmente tra di loro nei vari ordini ed i cui interstizi erano riempiti di pietre. Inizialmente veniva disposta a terra una prima fila di pali paralleli distanziati tra loro di circa mezzo metro. All’esterno, lungo quello che sarebbe stato il bordo visibile del muro, venivano poste delle pietre abbastanza regolari, affinché i vari strati si fossero incastrarsi tra di loro. All’interno, invece, lo spazio veniva riempito con pietre e sassi. Poi, si appoggiavano altri pali sopra ai primi, perpendicolarmente, distanziati sempre della stessa distanza di mezzo metro. Questi ultimi venivano legati a quelli dello strato inferiore e poi si proseguiva facendo il bordo con pietre squadrate e l’interno riempito di sassi di diversa grandezza. Si proseguiva così per tutti gli strati superiori, fino a raggiungere l’altezza desiderata. Al di sopra del terrapieno, veniva eretta una palizzata. Il vantaggio di questo tipo di muro consisteva nel fatto che non veniva rotto dalla forza di un ariete, perché l’anima interna di legno assorbiva i colpi, ma allo stesso modo la pietra che ricopriva i pali faceva sì che non si potesse bruciare. Né i pali potevano essere sfilati, perché legati gli uni agli altri.

Dalla fine del primo quarto del II secolo a.C., il ritorno dei Boi ricacciati dai Romani dalla Gallia Cisalpina nelle zone dell’Europa centro-orientale, permise la fioritura degli oppida celtici in quelle regioni. Portatori di un bagaglio culturale urbano acquisito nei contatti con il mondo etrusco-italico, i nuovi Celti furono promotori dello sviluppo delle città in Boemia, nelle cui strutture oggi riscoperte si riconoscono i segni di una pianificazione preventiva del reticolo urbano la cui realizzazione richiese decenni.
Lo sviluppo degli oppida, quindi, non fu dovuto alle semplici necessità difensive, ma fu la risposta culturale alle necessità di una società ormai evoluta.




Antonio Gottarelli (a cura di), Archeologia nell’alta valle dell’Idice, Edizioni Templa, 2015
Maria Teresa Grassi, I Celti in Italia, Longanesi, 2009
Caio Giulio Cesare, La guerra gallica, Biblioteca Universale Rizzoli, 2014

Modelli

Case autocostruite usando poliuretano in lastre di spessore 2,5 cm (trovabile in qualunque negozio di fai da te, tra i materiali da isolamento), stuzzicadenti, cartoncino, sassolini e colla.
I colori sono normali acrilici da cartoleria.
Per l'erba, si veda l'articolo "Facciamo l'erba".




  • Il modello conico è ripreso dalle ricostruzioni di case celtiche a Castell Henllys, nel Galles.
  • Il modello dal tetto spiovente è ripreso dalle ricostruzioni di case celtiche di Monte Bibene.
  • Il modello di casa lignea è supposto per analogia con altre costruzioni presenti attualmente in ambienti boschivi.
  • Il muro celtico è ripreso dalle ricostruzioni di Bibracte.