sabato 22 febbraio 2020

Cavalleria celtica

Come molti popoli dell’età antica, anche per i Celti la cavalleria era formata dalle élite sociali dei gruppi di appartenenza, perché il mantenimento di un cavallo era un costo che solo le classi agiate potevano permettersi.

Per questo il cavallo fu considerato un bene di prestigio, oltre che un animale ammirato per la sua forza e vitalità, dunque tenuto in gran conto. Tanto che era diffusa l’usanza di seppellire il nobile oltre che con le armi, anche con il proprio cavallo. Sepolture con presenza di scheletri di cavalli, spesso con il morso in ferro, si trovano in area celtica italiana soprattutto nel territorio dei Senoni, dei Boi e dei Cenomani.
Sicuramente presenza anomala e ad oggi caso isolato, lo scheletro di un cavallo è stato trovato anche associato alla tomba di una donna, contenente un ricco corredo di vasi fittili.
I cavalieri nobili avevano spesso un’armatura completa molto simile a quella dei fanti pesanti. Erano protetti da una cotta di maglie, da un elmo e da uno grande scudo. La loro arma era costituita principalmente da una spada di circa 65 cm.


Successivamente, durante un processo che terminò circa nel II sec. a.C., l’armamento si modificò: lo scudo divenne circolare e più piccolo, mentre la spada si allungò,  passando dai 65 cm del modello denominato “La Tène I” ai 90 cm del modello detto “La Tène II”. Questa spada divenne quella ordinaria anche per i fanti. Così, se la prima spada poteva essere utilizzata sia di filo sia di punta, con la nuova dotazione, i colpi potevano essere quasi solo dei fendenti.
Pur conoscendo il morso, i Celti ignoravano l’uso delle staffe. Perciò, come per molti popoli antichi dell’area mediterranea, fino al III sec. a.C., cioè quando vennero introdotti i pomi sulle selle, la cavalleria era utilizzata per azioni di disturbo, per intercettazione, per esplorazione, per inseguire i fuggitivi. Oppure, nel caso dei Celti (e degli opliti etruschi) per avvicinarsi rapidamente al nemico, scendere da cavallo e combattere a piedi.


Nel III sec. vennero introdotti i pomi sulla sella il che permise ai cavalieri, anche se non le cariche d’urto, almeno di combattere a cavallo con la spada.
Il sedile, fissato alla pancia del cavallo, era dotato di quattro pomelli laterali, due davanti e due di dietro, dove il cavaliere vi incastrava le cosce. In questo modo, pur senza staffe, il cavaliere poteva rimanere abbastanza stabile, almeno per combattere con la spada o con la lancia.

Cavalleria leggera celtica

Questo miglioramento permise alla cavalleria di sviluppare tattiche diverse dal semplice inseguimento dei nemici. Le nuove possibilità offerte dalla cavalleria decretarono il declino, intorno al III sec a.C., dei carri a due uomini. Mentre sono ricordati da Livio durante la battaglia del Sentino, nel 295 a.C., Cesare li menziona solo in Britannia e solo come mezzo di spostamento e di ostentazione di potere delle élite sociali dei Celti.
Se prima, infatti, queste armi permettevano ad un guerriero di muoversi rapidamente verso il nemico cogliendolo di sorpresa e bersagliandolo di dardi, oppure scendendo dal carro per combattere a piedi, le stesse possibilità erano offerte dal cavallo con un duplice vantaggio: nella cavalleria per un singolo guerriero era sufficiente un cavallo e non due come nel caso del carro guidato da un auriga; in secondo luogo perché le possibilità di evoluzioni offerte dal cavallo non sono permesse dalla rigidità di manovra del carro.

Tre basette di cavalleria leggera celtica

La cavalleria, essendo un corpo legato al censo, aveva un rapporto numerico con la fanteria di uno a dieci, in sostanziale parità con molti eserciti contemporanei. Tuttavia, in alcuni casi si arrivò ad un rapporto di uno a quattro, come durante le guerre annibaliche.

Trimacisia

Ma il numero dei cavalieri riportato dalle fonti non deve essere sopravvalutato.

Guerrieri celti a cavallo

I Celti, infatti, utilizzavano una loro particolare tecnica detta trimacisia. Questa tattica prevedeva l’avvicendamento in battaglia di tre cavalieri. Dei tre, solo uno era il guerriero nobile, affiancato da due servitori. Questi, anch’essi a cavallo e abili cavalieri, supportavano il guerriero vero e proprio. I due aiutanti erano dei servi o degli uomini liberi che lavoravano al servizio del nobile. Durante la battaglia, questi restavano alle spalle del nobile, in posizione arretrata, in attesa di intervenire nei casi di bisogno. Ad esempio, se il cavallo del loro signore veniva ferito o ucciso ed il cavaliere disarcionato, uno dei due serventi si affrettava a lasciare il proprio cavallo al signore che poteva ora riprendere la battaglia. Oppure, nel caso in cui il guerriero nobile fosse stato ferito, un servitore correva in suo aiuto per riportarlo al campo, mentre l’altro prendeva il suo posto nello schieramento.
Ne conseguiva che il numero dei cavalieri realmente impegnati nei combattimenti di cavalleria era un terzo degli effettivi presenti.

Due basette di guerrieri celti a cavallo, cavalleria media

L’etimologia della parola è legata alla radice tri (tre) accostata al termine celtico *markos/*marka che significa cavallo (irlandese marc, gallese march); termine presente anche nell’antico germanico, ma non in altre lingue indoeuropee (per la radice indoeuropea di cavallo *ekwos, si può consultare la lunga digressione di Francisco Villar).
Pausania descrive questa tecnica nel suo Viaggio in Grecia (Libro X, capitolo XIX, 9), quando racconta dell’invasione della Grecia nel 279 a.C. da parte dei Galati guidati da Brenno (Brenno, come colui che saccheggiò Roma, non è il nome del re, ma è il termine generico celtico di re, come in gallese brenn, re). In quella occasione, secondo le stime di Pausania, il numero dei cavalieri era di 61.200 mentre i combattenti erano solo 20.400.

Nobili celti a cavallo

Varie sono le fonti di questa tattica ed in generale dei servitori che ruotavano intorno al nobile, anche se non sempre seguivano il loro signore a cavallo ma a piedi. Aiutanti che non necessariamente erano servi ma che potevano essere anche di condizione libera seppur poveri e dunque al loro servizio. Ce ne testimonia l’esistenza sia Diodoro Siculo sia Cesare riferendosi ai Germani, dove nel De bello Gallico (1, 48) riferisce del sostegno che ogni cavaliere riceve da un fante da lui stesso scelto. Sarà questa usanza che darà origine nel medioevo alla figura dello scudiero.

Nobili celti a cavallo, cavalleria media

Bibliografia
  • Pausania, Viaggio in Grecia, Delfi e Focide (Libro X), BUR 2011, trad. it. Salvatore Rizzo.
  • Maria Teresa Grassi, I Celti in Italia, Longanesi, 2009.
  • Gabriele Esposito, I guerrieri dell’Italia antica, Leg Edizioni, Gorizia 2018.

Figurini

  • Italeri 6029 (1/72) Cavalleria celtica – 15 cavalieri in tre pose.
  • Hät 8138 (1/72) Comando celtico – utilizzati i soli 6 cavalieri, in 2 pose, per la cavalleria nobile.

Tre basette di Nobili celti a cavallo


Imbasettamento

  • 3 basette da 2 cavalieri (Italeri) per la cavalleria leggera;
  • 2 basette da 3 cavalieri (Italeri) per i guerrieri celti a cavallo;
  • 3 basette da 3 cavalieri (6 cavalieri Hät e 3 cavalieri Italeri) per i nobili celti a cavallo.